Sostenibilità, significato e usi di un termine abusato ma ancora necessario

Sostenibilità, sostenibilità, sostenibilità: significato, usi e declinazioni di questa parola non sono sempre chiari nonostante ci rimbombi nelle orecchie da diversi anni.

Se “apriamo” il dizionario online della Treccani alla voce sostenibile leggiamo la definizione «che si può sostenere» in relazione a una tesi o «che può essere affrontato» in riferimento a una spesa. È solo per estensione, come uso ampio, che nel tempo il significato di sostenibile (e conseguentemente di sostenibilità) è arrivato a essere «compatibile con le esigenze di salvaguardia delle risorse ambientali». Ed è con questo significato che oggi lo sentiamo ripetere molto spesso sui media, dai giornali alle radio, passando per i social network, progressivamente accostato a tre ambiti semantici, quelli sociale, ambientale ed economico, riuniti spesso nell’acronimo inglese ESG.

Come consulenti per la sostenibilità aziendale da oltre trent’anni non possiamo però accontentarci di questa definizione di base.

Cosa significa sviluppo sostenibile

Prendiamo innanzitutto in considerazione uno dei binomi più ricorrenti in questo ambito, sviluppo sostenibile. Negli anni Venti del Duemila quando si parla di sviluppo sostenibile spuntano molte possibili definizioni, ma quella che a nostro avviso è più calzante è la formulazione del Rapporto Bundtland Our common Future, che lo connota come «lo sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri».

La sostenibilità aziendale e le sue evoluzioni

La sfida per un mondo più sostenibile coinvolge tutti noi, da chi legge questo articolo a chi va a fare la spesa, passando per chi fa le leggi e, forse l’attore su cui più spesso si punta il dito, le aziende. Il tessuto produttivo non può evitare di riflettere sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle proprie attività.

Le azioni in questo senso negli anni sono state mosse da motivazioni differenti. Intorno agli Anni Novanta, infatti, prendono forma i primi strumenti nati con l’obiettivo di valutare alcuni aspetti della sostenibilità dei prodotti: è così che nel 1992 la Commissione Europea ufficializza l’Eu Ecolabel, il principale schema per l’etichettatura ambientale. Fra i suoi obiettivi c’è quello, fondamentale, di agevolare i consumatori nella scelta di prodotti più responsabili da un punto di vista ambientale. Queste valutazioni hanno poi interessato anche le organizzazioni, con l’introduzione nel 1993 dello schema EMAS Eco-Management and Audit Scheme, il cui grande merito è quello di aver richiesto alle aziende di predisporre e rendere pubblica una Dichiarazione Ambientale. In un certo senso è l’inizio di quella richiesta di trasparenza verso l’esterno che è poi confluita fra le altre cose in strumenti come il bilancio di sostenibilità e in più in generale la rendicontazione non finanziaria.

È importante sottolineare che in questa prima fase gli strumenti introdotti erano volontari per le imprese. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, la sostenibilità inizia a essere un elemento ineludibile, obbligatorio su diversi aspetti, per le aziende; un processo iniziato con il cosiddetto Green Public Procurement, formula inglese che indica l’introduzione di requisiti green specifici nei bandi e concorsi pubblici. È la leva della domanda pubblica quella che per prima ha spronato le imprese a intraprendere percorsi per ridurre il loro impatto sul pianeta.

Ci sono altri due aspetti significativi che hanno modellato lo scenario: da un lato l’obbligo, per diversi tipi di aziende, soprattutto quelle dalle dimensioni più grandi, di rendicontare le informazioni non finanziarie, dall’altro il vantaggio competitivo che l’attenzione agli ambiti ESG ha iniziato a fornire. Tradotto: chi è più sostenibile conquista alcune fette di mercato più facilmente.

Così nei primi anni Venti del Duemila la sostenibilità è diventata un valore imprescindibile per le imprese anche grazie alle nuove consapevolezze sulla tutela degli equilibri degli ecosistemi stimolate dalla pandemia da Covid19. «La natura ferita può ferirci a sua volta con forza sorprendente», osserva Maurizio Fieschi, fondatore di Studio Fieschi. «Da anni le discussioni sulla salvaguardia degli ecosistemi e della biodiversità che ospitano si accompagna a quella sui cambiamenti climatici e sulle risorse idriche; insieme costituiscono il trittico di titani che sta terrorizzando il nostro mondo».

Di fronte a queste minacce si è andato formandosi un sistema che vede diversi attori sociali premere per un modo di fare impresa più responsabile: i consumatori (termine davvero poco adatto a una visione sostenibile), gli investitori, i mezzi di comunicazione, diversi governi ed enti pubblici.

A questi ultimi, in particolare, spetta un compito cruciale: definire un quadro di riferimento all’interno del quale le aziende possono operare, fornendo strumenti adatti a rendere la sostenibilità accessibile a tutti e non un lusso per chi ha budget più imponenti.

Il ruolo di ognuno di noi: un approccio sistemico alla sostenibilità

Ora che di sostenibilità significato e declinazioni sono chiare, possiamo passare a un altro aspetto cruciale. Sì, perché un ruolo fondamentale per una società più sostenibile è affidato anche a ognuno di noi: dalla scelta di cosa mangiamo al numero di t-shirt che acquistiamo in un anno fino al mezzo per raggiungere la meta delle nostre vacanze.

Quando si tratta di sostenibilità ci è richiesto di vedere il mondo come un organismo unico nel quale le relazioni tra le parti diventano centrali. Una comunità integrata e sistemica può aspirare a uno sviluppo sostenibile, un gruppo di nazioni con idee, strumenti e percorsi molto diversi, no.

E se è vero che oggi siamo bombardati da messaggi sulla sostenibilità, è altresì vero che questo coro cesserà solo quando un approccio più sostenibile per le risorse di cui disponiamo sarà radicato in ogni scelta che compiamo, da quelle dei governi («una nuova legge? Pensiamo subito agli aspetti di sostenibilità, poi al resto») a quelle delle aziende (l’ecodesign deve diventare la norma nell’ideazione di nuovi prodotti e servizi), passando per le nostre (di quel quinto paio di pantaloni non abbiamo davvero bisogno).

Perché sì, oggi viviamo in una società che genera in continuazione bisogni superflui: «l’invocazione non è più dacci oggi il nostro pane quotidiano ma dacci oggi la nostra fame quotidiana. Occorre tornare alla prima invocazione» prosegue Maurizio Fieschi. «Cosa vuol dire? Partire dalla valutazione delle risorse e, in base alla loro reale disponibilità, soddisfare i bisogni che è possibile sostenere ora, non con le tecnologie future. Se il consumo di canna da zucchero ha bisogno di nuovi terreni che vengono rubati alla foresta amazzonica occorre ridurlo; così se lo stock di merluzzi nel mar Baltico subisce il sovra sfruttamento occorre ridurne la pesca».

Tutto questo non è da interpretare come uno sforzo titanico, ma semmai come un gesto d’amore verso noi stessi e verso i piccoli delle nostre case, il futuro dell’umanità.